Io ce l'ho, in realtà sono in gran parte brani elaborati, ma non inseriti, in The Division Bell del 1994. Un bel omaggio a Rick Wright, scomparso nel 2008, cui Gilmour e Mason hanno dedicato questo disco. Questa una recensione che ne identifica al meglio i brani.
Che disco è
The Endless River? Un piccolo estratto da
Inside Out, la biografia di Mason ci chiarisce il quadro, svelando quali fossero le linee base di
riff e
patterns presenti in
The Big Spliff, riff e concetti che sarebbero poi confluiti in
The Endless River: “Some rather similar, some nearly identifiable as old songs of ours, some clearly subliminal reinventions of well-known songs”. E così è, a partire dall’iniziale
Things Left Unsaid, che riprende il montaggio di parlati di
Speak To Me, con la differenza che in questo caso le voci (che sono estratti di interviste) sono quelle dei tre Pink Floyd: “
There’s certainly an unspoken understanding” (Wright), “
There’s a lot of things unsaid” (Gilmour), “
We shout and argue like everyone else. The sum is better thant the parts” (Mason); un collage che centra il fulcro di una storia fatta non solo di successi planetari.
Il collage si chiude con un suono simile ad un’implosione per poi accompagnare l’ascoltatore alle porte del viaggio. Sono sonorità familiari – che immediatamente rimandano alle sospensioni di
Cluster One – con le tastiere di Wright che modellano, accordo dopo accordo, un paesaggio astrale sul quale Gilmour costruisce percorsi fluttuanti fatti di note lunghe create con l’effetto Ebow. Sarà un viaggio caratterizzato da continui rimandi sonori alla storia dei Pink Floyd: dalla successiva
It’s What We Do che si riallaccia a
Welcome To The Machine e
Shine On You Crazy Diamond (Part 6-9) è una continua immersione nei vecchi brani della band.
Sum richiama nuovamente
Cluster One prima di perdersi nel taglio sostenuto di
One Of These Days.
Skins – che come si può dedurre dal titolo stesso vede la batteria di Mason nel ruolo principale – è un tuffo nelle sonorità di
Ummagumma, mentre in “
Talkin’ Hawkin’” ritorna il parlato di Howkin’ che fu protagonista in
Keep Talking. I rimandi sono continui e a volte riemergono dal retaggio ambient che li accoglie. In
Night Light ci sono addirittura passaggi identici ad alcuni momenti del disco solistico di Gilmour,
On An Island, mentre la successiva
Allons-y (1) ci sbalza nuovamente indietro nel tempo fino a
The Wall, riprendendo il riff di
Run Like Hell ed alcuni passaggi di
Another brick In The Wall.
Il momento migliore – ed emotivamente più toccante – del disco resta “Autumn ’68”, che porta un titolo simile al brano scritto da Wright per Atom Heart Mother: si tratta di un piccolissimo passaggio che fa parte di una registrazione effettuata nel giugno del 1969, quando all’interno della Royal Albert Hall Wright diede vita ad un lungo componimento eseguito con l’organo a canne del teatro. Dall’altra parte
Anisina – parola che in turco significa “in memoria di” – appare debole pur nel sentito tentativo di voler omaggiare, probabilmente, Richard Wright: la progressione accordale che Gilmour costruisce al piano è semplice e si lascia al clarinetto di Gilad Atzmon e alle note alte della chitarra di Gilmour la costruzione del crescendo.
Il singolo
Louder Than Words è l’unico brano cantato del disco, ed attraverso i suoi versi – scritti da Polly Samson – si cerca di incorniciare la storia umana della band e la potenza di unapassione che sovrasta ogni elemento negativo (“
Your favourite blues / Gonna tap out the rhythm”
. Si mettono le carte in tavola, si tenta di far pace con un passato molto più che travagliato.
The Endless River – per buona parte caratterizzato da composizionilunghe meno di due minuti – è un’eccellente raccolta di idee e l’aspetto che lacera di più l’animo è che queste idee non siano destinate a germogliare perché, come spesso ripetuto daiprotagonisti (e adesso scolpito in
Louder Than Words) “i Pink Floyd sono più grandi della somma delle parti che li compongono” e Richard Wright pur essendo nell’album, non ha comunque potuto prendere parte al progetto. Ecco perché all’inevitabile entusiasmo che accompagna questa scena ultima di una delle band che ha segnato indelebilmente la storia della musica, fa eco un senso di amarezza nel prendere atto che la storia si sia chiusa definitivamente; e ad essere sinceri per qualcuno quella storia si era completamente conclusa già con
The Division Bell, dove tutti i tre Pink Floyd avevano avuto parte attiva nella lavorazione. Così come
The Division Bell permise ad una nuova generazione di avvicinarsi ad un gruppo dalle molteplici reincarnazioni, allo stesso modo venti anni dopo,
The Endless River – che raccolga o meno i giudizi positivi della critica e di un certo pubblico – contribuirà ad avvicinare una nuova generazione.
di Chiara Felice | 7 novembre 2014